V.23, nº 51 - 2025 (maio-agosto) ISSN: 1808-799 X
LA FILOSOFIA DI MARX [Giovanni Gentile]1
Il libro di Gentile su Marx, La filosofia di Marx, pubblicato nel 1899, fin dalla sua prima edizione fu considerato un libro notevole: «È degno di attenzione il libro dell’idealista hegeliano Giovanni Gentile, La filosofia di Marx (Pisa, 1899); l’autore rileva alcuni aspetti importanti della dialettica materialistica di Marx che di solito sfuggono all’attenzione dei kantiani, dei positivisti, ecc.»3. Sono trascorsi soltanto quindici anni dalla pubblicazione del libro, eppure Lenin, che in quel momento viveva
1 Artigo recebido em 30/03/2025. Primeira Avaliação em 24/06/2025. Segunda Avaliação em 30/09/2025. Aprovado em 21/07/2025. Publicado em 06/08/2025.
DOI: https://doi.org/10.22409/tn.v23i51.67185.
2PhD pela Academia Húngara de Ciências. Filósofo, dedica-se aos estudos da filosofia de György Lukács, dentre outros. Livros publicados: Giovanni Gentile e la cultura siciliana” (Roma, L´Ed, 1990), “Los filósofos y las mujeres” (Buenos Aires, Topía, 2006; em italiano, 2010). Foi coeditor de “György Lukács: Testamento Político y otros escritos sobre política y filosofía” (2003; em italiano 2015), “György Lukács Ontología del ser social: el trabajo” e “György Lukács - Ontología del ser social: la alienación” (Buenos Aires, Herramienta, 2013).
3 Lenin, Opere complete, vol. XXI, (agosto 1914-dicembre 1915), tr. it. R. Platone, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 76.
in Svizzera, ed era stato già ospite di Gorki a Capri, era in grado di riconoscere al libro di Gentile un merito superiore alle tante altre opere che apparivano in Europa sul pensiero di Marx. Il merito è in quella sottolineatura: idealista hegeliano. Rispetto a tutti i socialisti di stampo kantiano e positivista, tipici della Seconda internazionale, come ad esempio Friedrich Lange o Karl Kautsky, Gentile era stato in grado di ritrovare quella radice hegeliana del pensiero marxiano, che aveva attirato l’attenzione di Lenin4. Per questa comune ricerca delle radici hegeliane nel pensiero di Marx, Lenin apprezzava in Gentile la polemica antikantiana e antipositivistica5.
Il fatto che il libro di Gentile non abbia ricevuto l’attenzione che meritava fuori dai confini nazionali è dovuto al fatto che era scritto in italiano e che si scontrava con la vulgata marxista allora in vigore: Marx era l’alter ego di Darwin nello studio della storia, della società e dell’economia. Anche in Italia prevaleva la tendenza positivistica del marxismo, quindi un libro scritto da un giovane studioso, non militante socialista, e per giunta di palese tendenza idealistica, era destinato a rimanere noto soltanto negli ambienti più ristretti degli specialisti della filosofia. Negli ambienti socialisti, quindi, eccetto le poche righe di Lenin, il libro non trovò alcuna eco, in effetti esso era chiaramente superiore alla media delle opere su Marx allora in circolazione, a dimostrazione della capacità gentiliana di mostrare elementi teoretici originali in Marx, che in quel periodo erano considerati secondari o compromissori con l’esecrata tradizione della filosofia idealistica. Negli anni successivi la condanna della tradizione hegeliana nel pensiero di Marx diventerà uno dei caratteri più tipici dello stalinismo, che sarà per li rami uno degli eredi del marxismo positivistico. La schematizzazione in formule astratte, che caratterizza lo stalinismo e, di conseguenza, l’annichilamento della straordinaria agilità concettuale del pensiero di Marx, iniziano proprio nella credenza positivistica che lo sviluppo del capitalismo ad un certo punto – quasi per magia – si sarebbe evoluto nel socialismo. Engels, soprattutto, si batté contro queste tendenze interpretative retrive e reazionarie, ma lo schematismo è una maniera
4 «Umkehren: Marx ha applicato la dialettica di Hegel nella sua forma razionale all’economia politica» (Lenin, Quaderni filosofici, a cura di I. Ambrogio, Roma, Editori Riuniti, 1976, I ed., I ris., p. 165); e più avanti: «Non si può comprendere a pieno Il capitale di Marx, e in particolare il suo primo capitolo, se non si è studiata attentamente e capita tutta la logica di Hegel. Di conseguenza, dopo mezzo secolo, nessun marxista ha capito Marx!» (Idem, p. 167). Ancora a proposito della Teleologia della Logica in essa riconosceva «germi di materialismo storico in Hegel» (Cfr. Idem, p. 176).
5 Va ricordato a questo proposito che proprio in quegli anni 1914-15, Lenin approfondì lo studio di Hegel e della filosofia classica. Questo studio lo spinse ad abbandonare gradatamente alcune sue posizioni espresse qualche anno prima in Materialismo ed empiriocriticismo (1908), ove cercava di ricostruire i rapporti tra marxismo e positivismo.
economica di apprendere concetti e di interpretare la realtà molto diffusa, perché poco faticosa, ma è anche quanto di più lontano dall’originario modo marxiano di affrontare il duro e faticoso lavoro teoretico.
Benedetto Croce, che si apprestava a diventare uno degli intellettuali più rappresentativi della cultura italiana del Novecento, giudicò il libro alla sua prima apparizione in termini lusinghieri. In una lettera a Gentile si congratulò con il giovane studioso: «Avete riempito un vuoto con vostro studio della filosofia della praxis, e avete scritto una curiosa pagina di storia della filosofia»6. Va rilevato che il marxismo è denominato da Croce, sulla scia di Labriola, “filosofia della praxis” a sottolineare la sua inferiorità alla filosofia del pensiero o dello spirito, cioè all’idealismo, e per questo la “pagina di filosofia” scritta da Gentile è in fondo “curiosa”. Insomma per il futuro nume della filosofia italiana, il marxismo aveva guadagnato con Gentile un posto anche eccessivo, e per questo il giovane autore del libro era meritevole del lusinghiero messaggio di felicitazioni. Ma ciò che unirà i due filosofi sarà proprio la critica al materialismo storico, perché li spingerà alla fondazione di un nuovo idealismo7
Quindi i marxisti ignorarono il libro e il maggiore idealista europeo lo ricevette con sussiego, eppure il libro conteneva tali argomenti che sono quelli che offrono elementi per una rilettura approfondita del pensiero di Marx e, malgrado il tempo trascorso dalla sua pubblicazione, La filosofia di Marx è un libro che ancora oggi mostra notevole acume teoretico, al punto che alcuni rilievi critici sollevati da Gentile alla filosofia di Marx, in particolare, e al marxismo, in generale, sono presenti fino negli
6 Lettera del 26/7/1899 in B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, a cura di A. Croce, Milano, Mondadori, 1981, p. 56. Proprio la lettura del libro di Gentile fu l’inizio della collaborazione con Gentile, «che aveva pubblicato recensioni dei miei lavori intorno alla teoria della storia e al marxismo, […] Col Gentile, oltre che affinità pratiche, mi stringevano affinità di svolgimento mentale e di cultura, perché anch’esso si era dapprima provato negli studi letterari come scolaro del D’Ancona e si era addestrato nelle indagini filologiche, e, come me, prendeva e prende sempre singolar piacere in quel genere di lavoro, che richiama la mente al determinato e al concreto e che non è lavoro che possa affidarsi ai “carrettieri” (come dicono i tedeschi), ma che ogni studioso valido deve saper compiere da sé, pei propri bisogni e secondo i propri fini» (B. Croce, “Contributo alla critica di me stesso” in B. C., Etica e politica, Roma- Bari, Laterza, 1981, III ed., pp. 330-331). La stima di Croce verso il libro di Gentile non mutò nel tempo, nonostante la successiva rottura dei rapporti tra i due filosofi, tanto che nella prefazione al suo Materialismo storico e economia marxistica, (Cfr. B. Croce, op. cit., Bari, Laterza, 1978, III ed., p. XI), Croce raccomandava ai suoi lettori di leggere il libro di Gentile e ne accettava alcune concezioni (Cfr. Idem, pp. 77-78 e 101), mentre non ne accettava le critiche a Labriola (cfr. Idem, p. 81) e questa raccomandazione non fu mai cancellata nelle edizioni successive dell’opera a dimostrazione che la stima verso il libro non si modificò nel corso dei decenni.
7 Cfr. M. Vanzulli, Il marxismo e l’idealismo. Studi su Labriola, Croce, Gentile, Gramsci, Roma, Aracne, 2013, p. 159.
ultimi sviluppi del marxismo novecentesco, come ad esempio in Lukács – e vi accenneremo seppure brevemente.
Va tenuto conto, anche, di un altro importante aspetto storico dell’analisi di Gentile su Marx: il libro fu scritto in un periodo in cui non erano ancora state pubblicate opere di Marx come i Manoscritti economico-filosofici del 1844, o i Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica (Grundrisse), o l’Ideologia tedesca – dell’assenza di quest’ultima opera Gentile stesso si rammarica8. Il testo di Marx, su cui Gentile riesce a ricostruire la filosofia di Marx, sono le Tesi su Feuerbach9, considerate da lui il nucleo dell’impianto teoretico marxiano. Le opere di Marx successivamente pubblicate avrebbero confermato la correttezza dell’analisi giovanile di Gentile, ma questa pubblicazione avviene nei primi anni Trenta, quando ormai la strada di Gentile si è largamente allontanata dal marxismo. Eppure lui non manca di segnalare l’esistenza di queste opere e di altri importanti studi marxisti10.
Gentile, a differenza di quanto quasi universalmente sostenuto alla fine dell’Ottocento, dimostra che la filosofia di Marx è inscindibile dalle sue analisi economiche, storiche e sociologiche; questo aspetto del pensiero di Marx non era stato fino a quel momento colto da Croce e le osservazioni critiche di Croce, presenti nel loro carteggio, ne offrono ampia conferma11. Sebbene Croce in quel periodo apparisse
8 «Ah se i topi ci avessero risparmiato quel manoscritto mandato invano al tipografo di Westfalia, non avremmo bisogno di tante discussioni» in lettera del 26/8/1899 in G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1972, vol. I, pp. 196-203.
9 È Croce che lo ricorda a Gentile, cfr. lettera del 6/10/1899 in B. Croce, op. cit., pp. 61-63. Gentile fu il primo a tradurre in italiano le Tesi su Feuerbach, che compaiono in appendice a La filosofia di Marx.
10 Gentile mostra la sua conoscenza di questo proliferare di studi, quando nella prefazione del 1937 alla ristampa de La filosofia di Marx afferma a proposito del suo saggio che è «invecchiato nel frattempo per tutti gli studi venuti alla luce sull’argomento e per i nuovi documenti del pensiero di Marx messi a disposizione degli studiosi» (G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, cit., vol. I, p. 8). La ragione che spinge Gentile alla ripubblicazione del suo libro giovanile su Marx è, secondo Ugo Spirito, un rinnovato interesse verso il comunismo (cfr. U. Spirito, Dall’attualismo al problematicismo, Firenze, Sansoni, 1976, p. 26).
11 Croce tendeva a scindere il socialismo dalla filosofia, al fine di rifiutarne quest’ultima per accettarne il primo «per motivi etici e sentimentali», come sostiene Antonino Bruno (cfr. A. Bruno, Marxismo e idealismo italiano, Firenze, La Nuova Italia, 1979, p. 74). Nel manoscritto de La filosofia di Marx, dal quale fu tratta la memoria dal titolo Una critica del materialismo storico, pubblicata in “Studi Storici” (1897, a. VI, n°. 3, pp. 379-423) e poi ripubblicata come prima parte de La filosofia di Marx, Gentile afferma a questo proposito: «E se […] si devono invocare, come il Croce pensa e come lui il Chiappelli e parecchi altri, le convinzioni morali e il sentimento, io dubito forte che nel novero di quelle forze, del cui calcolo si vogliono avvantaggiare i teorici del comunismo, non se ne pongano pure delle inesistenti, come quelle su cui si elevavano le concezioni del ripudiato socialismo utopistico. E saremmo così innanzi a una più fondata utopia, ma sempre innanzi a un’utopia». (G. Gentile, Il materialismo storico nella dissertazione inedita del 1897, a cura di I. Volpicelli, Roma, Armando, 1980, p. 89). Gentile respinge il carattere utopico-politico del pensiero di Marx e l’afflato morale e sentimentale, pur riconoscendone la sostanza filosofica.
vicino ad alcune posizione del marxismo, è senza dubbio Gentile, colui che mostra più comprensione dei fondamenti teoretici di Marx. Ad esempio all’osservazione di Croce che nel pensiero di Marx «la filosofia è un condimento, e non è un buon condimento, del suo pensiero»12, Gentile replica: «Vero è, che resta sempre a vedere se essa possa dirsi o no “condimento” di cotesto pensiero, se cioè possa considerarsi quasi un’aggiunta arbitraria voluta fare un giorno dal Marx ai naturali e storici svolgimenti del suo pensiero, o se piuttosto non debba ritenersi per un anello necessario nella catena di essi svolgimenti»13. La sufficienza mostrata da Croce era anche il segno di un suo provincialismo intellettuale, che lo spingeva a considerare secondario e irrisorio tutto ciò che non provenisse dalla tradizione culturale italiana o dalla alta tradizione filosofica. Tale sufficienza era in contrasto con il dettagliato rigore che fu sempre tipico di Gentile, che non escludeva nulla pregiudizialmente.
In quegli stessi anni in Italia, come d’altronde nel resto d’Europa, il marxismo è interpretato come una versione in termini sociali dell’evoluzionismo e del positivismo, come si evince anche dalla citazione di Lenin. In una simile situazione parlare di una filosofia di Marx è arduo di per sé ed in effetti soltanto Labriola in Italia e il giovane Gentile sostengono la sua esistenza, e le loro ragioni furono espresse con un livello di notevole profondità speculativa e con profonde differenze tra loro. Ma l’impostazione della propria analisi spinge Gentile oltre le posizioni di Labriola, perché a fare differenza tra le due interpretazioni è il modo con il quale il primo rileva il valore della dialettica in Marx. Gentile vede in Labriola –e poi anche in Sorel – colui che non valorizza nella giusta misura gli accenni ad un rapporto del marxismo con Hegel, cioè non è interessato a sondare la radice dialettica che accomuna le due filosofie, pur con notevoli differenze tra la dialettica hegeliana e quella marxiana14. Invece, come si accorse Lenin, la conoscenza dei fondamenti della dialettica hegeliana permette a Gentile di cogliere l’eredità di quella nella dialettica di Marx. In un sol colpo, quindi, la lettura gentiliana della filosofia di Marx, nonostante i limiti obiettivi che presenta e che analizzerò più innanzi, è più avanzata di quella di questi intellettuali marxisti, come Labriola, che erano militanti del Partito Socialista Italiano. Fin dal primo interesse di
12 Lettera del 21/8/1899 in B. Croce, op. cit., p. 57.
13 Lettera del 26/8/1899 in G. Gentile, op. cit., p. 197.
14 Ugo Spirito ha ricordato l’influenza di Labriola sull’interesse di Gentile verso il marxismo (cfr. U. Spirito,
Il comunismo, Firenze, Sansoni, 1979, III ed., p. 77).
Gentile al materialismo storico15, egli mostra come sia in grado di coglierne il “nucleo teorico”16. Così mentre in Italia infuriava la polemica sulla questione se il materialismo storico fosse o meno una filosofia della storia, Gentile era capace già di risolvere il problema in senso affermativo, riportando il dibattito ai fondamenti teorici del materialismo storico, cioè alla dialettica hegeliana.
Altro aspetto dell’interpretazione gentiliana di Marx è l’urgenza politica di una critica sistematica di una filosofia capace di mobilitare masse di lavoratori e di affascinare intellettuali17. La fine del secolo è stato il periodo dell’affermarsi del socialismo in Italia e ciò che preoccupava le classi dirigenti dell’epoca era proprio questa capacità di attrarre e mobilitare esclusi e intellettuali che il socialismo marxista mostrava. Questo movimento politico fu interpretato come un pericolo per l’unificazione nazionale, avvenimento storico molto caro a Gentile. Sono gli anni della crisi politica di fine secolo, della repressione feroce e cruenta del movimento dei Fasci dei Lavoratori, poi il fallimento dell’impresa coloniale africana ad Adua, infine il massacro del dicembre 1898 a Milano, quando centinaia di operai, ma anche bambini e donne furono uccisi dall’esercito italiano, – uno degli strumenti di unificazione del paese –, e solo perché reclamavano pane, cioè un progetto di vita. Un esempio celebre della durezza del clima politico del periodo in questione ce lo può offrire il romanzo di
15 È importante notare che molto raramente Gentile parla di “marxismo” piuttosto fa riferimento al “materialismo storico” o alla “filosofia della prassi” per indicare l’interesse delle teorie marxiane che, in qualche modo, vanno oltre il piano dell’interpretazione storica, economica e sociale. D’altro canto, il termine “marxiano” è successivo al periodo in cui il libro di Gentile apparve. Comunque, l’uso di questi termini è già un uso concettuale, soprattutto quello di “filosofia della prassi” e ciò è senza dubbio segno della chiarezza colla quale Gentile affrontava le questioni filosofiche.
16 La comprensione gentiliana di Marx è talmente corretta che Antimo Negri arriva a sostenere l’esistenza di “un marxismo di Gentile” (cfr. A. Negri, Giovanni Gentile, vol. II: Sviluppi e senso dell’attualismo, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. 128). Inoltre Mario Cassa, ricostruendo il rapporto Gentile-Spirito, ha sostenuto la tesi che l’attualismo gentiliano trovò una sua prosecuzione nel comunismo, seppure nella variante di Ugo Spirito (cfr. M. Cassa, “Genesi e struttura della società di Giovanni Gentile e Il comunismo di Ugo Spirito” in Il pensiero di Giovanni Gentile, a cura di S. Betti e F. Rovigatti, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, 1977, p. 214), quindi tra Genesi e struttura della società, ultima opera di Gentile, che a sua volta si ricollega alla Filosofia di Marx, e il problematicismo di Spirito ci sarebbe un filo diretto. Inoltre lo stesso Ugo Spirito ha ricordato l’influenza dell’attualismo sullo sviluppo del marxismo in Italia, oltre che riconoscere che negli anni tra il 1932 e il 1935 si tornò a studiare il comunismo alla Scuola Normale di Pisa, sotto la direzione di Gentile, come possibile forma di sviluppo del corporativismo fascista (cfr. U. Spirito, Il comunismo, cit., p. 16 e p. 100). Mentre decisamente critico su questa linea di sviluppo attualismo-comunismo si è dichiarato Carmelo Vigna, che ha rilevato le oscillazioni dell’interpretazione gentiliana della filosofia di Marx (cfr. C. Vigna, “Gentile interprete di Marx”, in il pensiero di Giovanni Gentile, cit., pp. 885-897). Penso che molti comunisti o, addirittura, dirigenti del Partito comunista italiano si siano avvicinati al pensiero di Marx attraverso le opere di Gentile e Spirito, che rappresentarono una buona introduzione alla conoscenza di Marx che approfondì e rafforzò la conoscenza del pensiero di Gramsci.
17 Sulla critica filosofica gentiliana del pensiero di Marx come strumento di lotta al movimento operaio, cfr. M. Vanzulli, op. cit., p. 151.
Pirandello I vecchi e i giovani. Ma Gentile non ha lo sguardo scettico del suo conterraneo, piuttosto l’emancipazione rivoluzionaria degli esclusi, dei dominati – il cui sfruttamento era una delle fonti economiche e sociali del processo di unificazione nazionale – appare a Gentile un ribaltamento radicale dell’ordine sociale. Il giovane Gentile sarebbe favorevole a un lento, anche graduale, cambiamento dell’ordine sociale esistente, ma a favore dei meritevoli, di coloro che hanno effettive – intese nel senso di chiare ed evidente – capacità di migliorare la propria e l’altrui condizione sociale. La sua è una concezione borghese forgiata sulla propria esperienza di brillante studente e studioso che stava recuperando una posizione eccellente nella gerarchia sociale. Non è certamente un’analisi delle relazioni sociali, di quanto queste possano condizionare chi si trova nelle posizioni più svantaggiose della gerarchia sociale. La complessità della società civile sostanzialmente gli sfugge, anche se è favorevole ad offrire opportunità a chi mostra di meritarle, ma non capisce che il merito è, a sua volta, condizionato dall’origine sociale.
Accanto a queste ragioni storiche e psicologiche, in una sola parola soggettive, vi sono anche ragioni di natura teoretica, che spingono Gentile a intravedere nel marxismo un nemico di classe. Augusto Del Noce le ha così sintetizzate: «Il pensiero francese e quello italiano avversi alla democrazia liberale e radicale si erano incontrati in quella querelle, 1895-1900, sul marxismo teorico da cui prese origine – […] – il risollevamento dell’hegelismo italiano, che allora era in dissoluzione e aveva ceduto al positivismo e la neokantismo, e il suo inserimento nella reazione europea contro lo scientismo, fino a rappresentare in questo movimento la forma che proprio con Gentile accetta le conseguenze estreme, e si presenta come alternativa al marxismo filosofico in quanto immanentismo assoluto raggiunto non già attraverso il materialismo, ma attraverso l’idealismo»18. Alle parole di Del Noce aggiungiamo qualche dato storico, cioè l’influenza di Sorel sul marxismo italiano, che dal positivismo fu indotto dal pensatore francese a spostarsi verso il volontarismo e finì per produrre quell’assurdo fenomeno politico che fu Mussolini e il fascismo. E poi quegli sono gli anni francesi del caso Dreyfus, dell’emancipazione nazionale dalla mediocrità politica, dal razzismo strisciante, dalla reazione antidemocratica, emancipazione che partì dalla penna di un intellettuale, Emile Zola. Tutto questo in Italia non c’è stato, almeno fino alla seconda metà del Novecento, si sono avuti al più intelligenti interpreti del marxismo o delle
18 A. Del Noce, Giovanni Gentile, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 14.
esigenze emancipatrici delle masse dominate. Gentile è tra i primi, Gramsci tra i primi e i secondi, ma l’interpretazione di Gentile è feconda anche per l’elaborazione di una teoria dell’emancipazione delle masse.
Gentile riconosce nel fondamento scientifico del materialismo storico la connotazione peculiare di una filosofia della storia e una più generale metafisica della realtà19. Sono la fede in un futuro migliore del presente, la capacità di prevedere il progresso sociale a partire da una constatazione delle leggi di sviluppo del modo di produzione capitalistico – quello che Bloch interpreterà come il principio speranza in un avvenire futuro – e il valore assoluto che si dà a queste leggi, ciò che rappresenta il nucleo teoretico della filosofia della storia di Marx20. Per Gentile questa concezione di Marx deriva dalla struttura stessa del suo pensiero, nel quale il divenire è colto sempre nell’immanente, nella Storia, cioè l’idea di Hegel è sostituita dalla materia, senza comunque negare che una tale concezione del divenire lasci immutato l’identico con sé che si constata speculativamente in ogni momento del progresso storico. Gentile, quindi, sintetizza il confronto tra Hegel e Marx in una semplice osservazione:
«Si scorge l’opposizione in cui la nuova dottrina intende di collocarsi verso l’hegelismo. In questo si idealizza la storia, nel materialismo essa si obiettivizza»21. Se le forme del pensiero di Marx sono in fondo hegeliane, allora il suo merito dipende dal sapiente lavoro di analisi del pensiero hegeliano, che permette a Marx di comprendere che la storia è un processo dialettico immanente. Questo atto di comprensione si trasforma sia in metodo analitico per il presente sia in un progetto politico-sociale da realizzare nel futuro. Questi sono i segni che marcano la differenza tra Marx e tutti i socialisti utopistici che lo hanno preceduto e che danno valore scientifico e filosofico al progetto marxiano.
19 Gustavo Bontadini, analizzando l’interpretazione gentiliana del pensiero di Marx, osserva: «Il marxismo, quando vuol uscire dalla programmazione politica per proporsi come filosofia, cade inevitabilmente nel vizio estrapolatorio, ossia nell’elevazione di particolari categorie – […] – a cifra dell’Intero. Questa estrapolazione, che è già in Marx, viene ritenuta d’obbligo, in quanto solo così il marxismo pensa di poter togliere lo spazio a delle visioni della vita, le quali propongono idealità fuorvianti rispetto all’impegno politico per la società nuova» (G. Bontadini, “Gentile e la metafisica”, in Il pensiero di Giovanni Gentile, cit., p. 113). Naturalmente Bontadini vede nel marxismo ciò che non c’è, cioè l’intenzione polemica verso il cristianesimo, non vi vede, invece, quello che c’è, cioè la difesa della vita in atto contro lo sfruttamento della vita da parte del sistema dominante, sistema ovviamente fatto da uomini che sfruttano altri uomini. Ed è proprio questo l’aspetto che Gentile riesce a intravedervi.
20 Cfr. G. Gentile, La filosofia di Marx, a cura di V. Bellezza, Firenze, Sansoni, 1975, V ed., pp. 41-43.
21 Ivi, p. 28.
La correttezza della lettura gentiliana del rapporto Hegel-Marx contiene, però, limiti che provengono dalla sua stessa fondazione. Lo sforzo di fondare scientificamente la costruzione del socialismo sembra a Gentile un eccesso idealistico, che vizia la struttura speculativa della filosofia di Marx. Riprendendo la critica dell’economista Wagner a Marx, secondo la quale il socialismo passerebbe troppo rapidamente dalle ideologie del passato ad un’iperideologia dell’avvenire22, Gentile sostiene che la soluzione delle contraddizioni, che può avvenire per Marx solo nel comunismo, non è altro che una trasformazione dell’assoluto hegeliano in termini relativi o storici23. Ma una tale operazione non sarebbe possibile per l’evidente inadeguatezza del relativo di confrontarsi con l’Assoluto hegeliano, e in tal modo si presenterebbe una contraddizione nel programma di palingenesi sociale di Marx e, quindi, nella sua filosofia della storia24. Il tentativo di Marx di sostituire all’Assoluto di Hegel la Storia o il Comunismo, intesi in termini relativi, cioè dipendenti dall’azione degli uomini, si rivelerebbe un fallimento. In fondo, Gentile da buon hegeliano si aspetta che Marx consideri la Storia o il Comunismo come assoluti, cosa che ovviamente Marx non fa; così ne conclude che Marx è un hegeliano poco ortodosso. Con un’interpretazione così rigidamente ortodossa in senso hegeliano, Gentile può cogliere le radici hegeliane di Marx, ma gli sfugge l’originalità del marxismo di Marx25.
22 Sono sostanzialmente le stesse critiche che muove Croce al socialismo, quando ne accetta il carattere critico dell’esistente: «L’invenzione del meglio, l’attuazione di questo meglio» e «il sempre maggiore umanamento e l’ascendente dignità delle classi operaie e dei lavoratori della terra»; ma rifiuta l’idea che si possa «fabbricare l’uomo perfetto o l’automa perfetto», perché l’uomo deve conservare «la sua facoltà di errare e di peccare, senza la quale non si può neppure fare il bene, il bene come ciascuno lo sente e sa di poter fare» (B. Croce, “La concezione liberale come concezione della vita” in B. C., Etica e politica, cit., p. 238). L’idea di costruire “l’uomo perfetto” è una iperideologia, che rovescia i limiti della natura sia fisica che morale. Naturalmente Croce, il filosofo dei distinti, non fa distinzioni tra la possibilità di fare bene e il bene effettivamente compiuto, tra il male compiuto e l’emancipazione dal male. Però, in generale, Croce coglie nel marxismo quell’afflato etico che ne rende sempre attuale la spinta emancipatrice anche contro i regimi che ispiravano al marxismo stesso.
23 Mario Cassa ha sostenuto che «Gentile compie una analisi speculativa e una riduzione, per così dire, analogica, della filosofia della storia di Marx alla filosofia della storia di Hegel» (M. Cassa, op. cit., p. 209). Condivido la critica di Cassa, ma preferisco però al termine “riduzione” quello più significativo di “sovrapposizione”. Si può sostenere, infatti, che Gentile ha subito una certa influenza da parte di Marx, ma ha mantenuto sempre la sua posizione hegeliana alla quale ha sovrapposto quella di Marx. A questo proposito Ferruccio Pardo ha colto questa influenza nell’identità gentiliana di storia e filosofia (cfr. F. Pardo, La filosofia di Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1972, p. 35).
24 Cfr. G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 56.
25 Eppure nella lettera del 26 agosto 1899, cioè pochi mesi dopo la pubblicazione de La filosofia di Marx si dichiarava convinto che «la sua dottrina non fu più dal Marx abbandonata, io credo in verità che anche il Marx, per tutta la vita, sia rimasto persuaso che tutte le sue idee, e storiche e politiche, s’imperniassero intorno ad alcuni principi filosofici, indipendenti o diversi da ogni altro corrente sistema» (lettera del 26/8/1899 cit.).
Augusto Del Noce, interpretando le critiche di Gentile a Marx, ha sostenuto che l’attualismo gentiliano, fin dalle prime opere non definisce forme, cioè anche ne La filosofia di Marx si presenta come «”inveramento” del marxismo (…), in realtà come momento della sua necessaria decomposizione, in questo, dell’opera giobertiana»26. Secondo l’interpretazione di Del Noce si potrebbe parlare di una sorta di “concorrenza” tra attualismo e marxismo, cioè di un tentativo di rendere reale con l’attualismo ciò che il marxismo non era stato in grado di realizzare, in pratica questo qualcosa sarebbe una filosofia non fondata sull’interpretazione della storia, piuttosto essa stessa fondante un progetto storico e politico: l’attualismo sarebbe una filosofia che ha un progetto politico che forgia la storia secondo la propria volontà e capacità di azione. Da questo punto di vista Gentile può cogliere e accogliere il marxismo non soltanto come metodo di interpretazione storica, ma come una filosofia della storia, spingendone, però, l’impianto teoretico, perché sorto dalla realtà storica e non è un modello che forgia la realtà. Se si tenesse conto dell’interpretazione di Gentile, nel marxismo prevarrebbe il carattere “critico”, quello più originario e più caro a Marx, cioè la “critica dell’economia politica”. In effetti, Marx non indicò mai i contenuti della sua idea di Comunismo, si limitò ad indicarne alcune linee di tendenza, o meglio gli obiettivi minimi da raggiungere – che posso riassumere molto rapidamente in trasformazione del lavoro in gioco, o nella capacità di soddisfare i bisogni di qualsiasi essere umano, cioè di soddisfare tutti i bisogni della vita umana. Queste linee di tendenza servivano ad orientare la critica dell’esistente.
La posizione di Gentile è chiaramente quella di un idealista, con tutte le implicazioni del termine. Gentile non comprende o non accetta che nel rapporto di Marx con Hegel, l’eredità hegeliana sia stata rovesciata per instaurare un confronto concreto con la storia del proprio tempo. Infatti fatti storici concreti hanno spinto Marx ad assumere la dialettica come strumento di comprensione innanzitutto della realtà storica e poi del pensiero. Ernst Bloch, pur restando sostanzialmente estraneo al discorso di Gentile e non comprendendone i fondamenti teoretici, ha però colto questo aspetto eccessivamente idealistico che allontanerebbe il pensiero dalla realtà e ha giudicato il rapporto marxismo-attualismo nei seguenti termini: «In Gentile non viene messo in azione niente altro che un “atto puro” che nei confronti degli obiettivi nessi di condizionamenti, o se si vuole di leggi, ha il potere di fare quello che esso vuole in
26 A. Del Noce, op. cit., p. 54 e poi p. 58.
quanto “duce”, con totale eccesso del caso, in qualità di “grande animatore”»27. Nel giudizio di Bloch, rivolto al Gentile fascista, emerge la volontà di Gentile di accettare il solo piano dell’ideale per il confronto con la storia, il che causa non poche contraddizioni, le quali si intravedono anche nella sua biografia intellettuale, tra le sue concezioni filosofiche e le posizioni ideologiche e politiche e la sua prassi esistenziale. Anche Salvatore Natoli ha rilevato queste contraddizioni e, infatti, secondo lui: «In Gentile, il rinvenimento della dimensione filosofica di Marx, gli permette di ribadire la centralità della filosofia. Ma in tutto ciò quel che è più importante è il fatto che, nel momento in cui Gentile celebra la filosofia come il culmine di tutte le scienze, pone anche le premesse per la dissoluzione della forma epistemica del filosofare, vale a dire della filosofia come scienza»28. La forma idealistica della filosofia è, quindi, conseguenza della polemica antiscientista – e Marx era visto come uno scienziato sociale e non come un filosofo –, cioè l’idea si rifà sul dominio dei fatti e dell’asservimento che i fatti avevano imposto alla filosofia. Rimane, comunque, aperta la questione, se l’eccesso di idealismo debba rappresentare necessariamente una forzatura della storia e se questa forzatura debba essere il monopolio di un pensiero reazionario e non possa essere, invece, di un pensiero liberatore.
27 E. Bloch, Karl Marx, tr. it. L. Tosti, a cura di R. Bodei, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 194.
28 S. Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, p. 12.
29 G. Gentile La filosofia di Marx, cit., p. 119. Del Noce sostiene una generale “estraneità” di Gentile al pensiero di Marx, perché totalmente impegnato in polemiche interne alla filosofia italiana e all’hegelismo italiano. (A. Del Noce, Giovanni Gentile, cit., p. 65). Credo che, in realtà, l’estraneità di Gentile sia dovuta, oltre ai motivi addotti da Del Noce, anche alla struttura teoretica della sua incipiente filosofia:
D’altronde questa incomprensione di Gentile nei confronti del retroterra storico del marxismo è, a sua volta, una conseguenza dell’assunto caratteristico dell’idealismo gentiliano: il rovesciamento della storia nella filosofia, così come Hegel presentava la filosofia, e la sua in particolare, come il movimento di tutte le filosofie. Gentile, rovesciando l’impostazione che Marx aveva dato al rapporto storia-filosofia, struttura- sovrastruttura, intende la filosofia come il momento determinante dello sviluppo storico, la vera e propria guida del movimento storico, ma una guida asettica e meno sconvolgente della storia. Così Gentile avrebbe rovesciato il rovesciamento che Marx aveva imposto alla filosofia hegeliana; Gentile ne avrebbe restaurato la struttura idealistica e infatti l’attualismo è una Restaurazione dell’idealismo, non è la sua Riforma, ma così facendo la filosofia non progredisce e rischia di limitarsi al campo della filologia teoretica.
Gentile rimane legato al suo punto di vista idealistico, secondo il quale la filosofia della storia non può e non deve trasformarsi in storia, deve rimanere confinata al solo piano delle idee: «Fatto vuol dire teoria; e la storia è ciò che il materialismo storico deve studiare e delucidare, non ciò che deve produrre»31. La frase ha il tono del comando imperioso, del disperato, perché tardivo, gesto di fermare il corso della storia. Gentile non coglie sia l’origine storica del pensiero marxiano in collegamento con la sua matrice teoretica e rifiuta, inoltre, che una metodologia d’interpretazione storica si possa trasformare in fatto storico, in quanto capace di dare un senso, una direzione alla storia stessa. Rifiuta l’uscita dallo stato di osservazione del “cielo
marxismo e attualismo sono due filosofiche antitetiche, ma appunto perciò le reciproche osservazioni possono essere feconde di ulteriori sviluppi.
30 G. Calogero, “Il principio fondamentale dell’attualismo gentiliano”, in Il pensiero di Giovanni Gentile, cit., p. 155.
31 G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 51.
stellato” e l’ingresso nel campo della prassi, dove la “legge morale che è dentro” diventa lo strumento di edificazione di un mondo nuovo e migliore.
In realtà Gentile mostra grande capacità di analisi dei fondamenti teoretici del pensiero marxiano, perché sono i suoi stessi fondamenti, cioè la filosofia di Hegel, ma gli rimangono estranei, pur avendoli riconosciuti, il retroterra ideologico e soprattutto la carica di senso rivoluzionario, di indignazione morale, che la filosofia di Marx contiene32. Eppure Gentile è stato il primo a sottolineare l’importanza delle Tesi su Feuerbach – oltre ad esserne stato il primo traduttore in italiano –, il testo nel quale Marx lascia intravedere la possibilità di continuare la filosofia non più come attività ermeneutica, piuttosto come attività pratica. Ed è noto quanto fosse caro a Gentile il rilievo alla prassi più che alla semplice interpretazione33.
Il rovesciamento operato da Marx delle concezioni hegeliane di Storia e Idea, seppur soltanto intravisto da Gentile, è anch’esso respinto, perché la filosofia hegeliana non ha bisogno di rovesciamenti, ma soltanto di una “riforma” che restituisca alla dialettica hegeliana la sua capacità di incidenza sulla realtà. Gentile, quindi, accetta soltanto la prospettiva di una riforma del metodo hegeliano e non un rovesciamento dell’astratto speculativo nel concreto storico entro il quale risolvere le contraddizioni del progresso sociale. Il piano, sul quale agisce il filosofo, è limitato dallo speculativo e dentro questo piano che Gentile si sforza di relegare Marx; infatti nel concludere il suo primo saggio del 1896 sul materialismo storico, Gentile anticipa il giudizio ampiamente approfondito, ma con conclusione leggermente differente rispetto al secondo saggio del 1899, sul carattere intrinsecamente metafisico del marxismo: «Il materialismo storico, se vuol essere più che una semplice veduta metodologica, utile allo storiografo, considerato dall’aspetto filosofico ci riesce uno de’ più sciagurati deviamenti del pensiero hegeliano, in questo riconduce ad una metafisica del reale, inteso come oggetto alla maniera pre-kantiana»34.
32 Questa comunanza di riferimenti teoretici ha spinto James A. Gregor a sostenere che Gentile ha considerato Marx come un precursore dell’attualismo (cfr. J. A. Gregor, “Giovanni Gentile and the Philosophy of the Young Marx” in Journal of the History of Ideas, vol. XXIV, 1963, pp. 225 e segg.). Naturalmente Gregor ha esagerato, ma ha colto l’intenzione di Gentile di porre l’attualismo come alternativa filosofica al marxismo.
33 Henry S. Harris sostiene che Gentile e Marx hanno in comune l’attenzione alla attività pratica (cfr. H. A. Harris, “Gentile’s Reform of the Hegelian Dialectic” in Il pensiero di Giovanni Gentile, cit., p. 474). Mi piace sussumere il giudizio di Harris nel pensare che l’attenzione di Gentile verso l’attività pratica sia una conseguenza della sua analisi del pensiero di Marx.
34 G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 58. Nel manoscritto inedito della memoria “Una critica del materialismo storico”, Gentile conclude così: «Voluto riconoscere dagli stessi autori all’hegelismo, o
Il punto di vista idealistico di Gentile lo induce a interpretare il marxismo come un fallito tentativo di una nuova metafisica del reale. Secondo Gentile è identificabile, almeno, «una semitica tendenza speculativa» in Marx35, espressa già nelle opere giovanili che lo spingerebbe fino alla “metafisica” della maturità. Metafisica che è fondata sul concetto di prassi. L’eredità idealistica della prassi marxiana è sottolineata da Gentile, e fatta risalire fino a Vico36, per il quale l’uomo poteva conoscere soltanto la propria opera, cioè il prodotto della propria prassi produttiva, e il mondo storico che ne è la costruzione (Bildung per dirla con il lessico di Hegel) definitiva. Se per Vico la costruzione del mondo storico è operazione della mente dell’uomo, per Marx le Storie sono le condizioni in cui gli uomini operano, mettono in atto la loro prassi. Gentile non nasconde, quindi, che la prassi di Vico o di Hegel è assunta per essere invertita: l’operare speculativo è sostituito dall’operare pratico. Si tratta, comunque, di una sostituzione che non intacca il metodo dialettico di Hegel, anzi l’intravisto rovesciamento marxiano della dialettica hegeliana è proficuo per Gentile, perché libera la dialettica dalla metafisica hegeliana e le restituisce il significato di metodo d’interpretazione della realtà. In tal modo Marx avrebbe completato la fatica di Hegel, cioè l’inversione della dialettica nel suo pieno significato filosofico. Da questo punto di vista, Marx ed Hegel tratterebbero la stessa forma di dialettica, seppure da due prospettive differenti. Gentile riprende da Marx il concetto della prassi, che invertirà nel suo concetto di “atto”. In tal senso, si può sostenere che Gentile opera un rovesciamento della prassi marxiana nel suo “atto puro” e, quindi, agli occhi del filosofo italiano non si rende necessario un “rovesciamento” della dialettica hegeliana, ma è sufficiente una “riforma” che la renda strumento consono alla sua assunzione nel sistema teoretico gentiliano37.
anche, come si può ammettere, da questo nelle loro menti psicologicamente derivato, quanto alla forma esteriore della dottrina, trova la sua più irrevocabile condanna nei principi stessi dell’hegelismo; come crediamo di avere abbastanza provato» (G. Gentile, Il materialismo storico, cit., p. 101).
35 Ivi, p. 99.
36 «Il nostro Vico, vantato per solito unicamente come fondatore della filosofia della storia, vide molto addentro in questa materia. E in questo concetto della cognizione come prassi sta tutta la ragione della sua critica inesorabile contro Cartesio» (G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., pp. 72-73).
37 Su questo punto sia Spirito sia Del Noce hanno sostenuto tesi analoghe a quanto su esposto. Ugo Spirito ha affermato: «Marx, secondo il Gentile, è sulla buona via e si unisce a Spaventa nell’indicazione dei presupposti essenziali per giungere poi alla riforma attualistica della dialettica»(U. Spirito, Il comunismo, cit., p. 98). Del Noce ha parlato di un «entusiasmo per il tema della filosofia della prassi» unito a una «totale negazione del materialismo» (A. Del Noce, Giovanni Gentile, cit., p. 70). Mentre critico è Giuseppe Semerari sulla ripresa gentiliana del concetto di prassi in Marx (cfr. G. Semerari, “Gentile e il marxismo”, in Il pensiero di Giovanni Gentile, cit., p. pp. 171-184).
La “riforma” della dialettica hegeliana serve a Gentile per avere uno strumento metodologico – la dialettica – al fine di costruire un’egemonia idealistica e storicistica nella cultura italiana. Egli intravede nel marxismo un pericoloso concorrente, perché fornito dello stesso metodo e con una presa più forte sulla società civile. La sua idea di egemonia è, in questo periodo, ancora quella dell’Italia rinascimentale, cioè piccole élites che riescono a trasformarsi in produttrici di cultura, di modelli estetici, di valori morali. Gentile non tiene conto che questa egemonia ha bisogno di potere economico sulla società civile e la sua proposta di trasformazione idealistica della cultura italiana non ha affatto alcun aggancio con il potere economico; riuscirà a trovarlo solo quando si alleerà al fascismo. Per adesso Gentile cerca soltanto di fare i conti con Marx, riconoscendone la grande capacità di analisi teoretica del pensiero hegeliano, non mancando di trarre dal pensiero marxiano interessanti e stimolanti spunti critici per ulteriori utilizzazioni a fini idealistici del materialismo storico.
In Marx come in Hegel soggetto e oggetto sono dialetticamente legati e, di conseguenza, la realtà oggettiva è produzione soggettiva entro l’attività sensitivo- conoscitiva del soggetto: quando si conosce un oggetto lo si produce nell’intuizione sensibile e quando lo si produce nell’intuizione sensibile lo si conosce38. Tra fare e conoscere si instaura un piano di parità dialettica, che trova la sua maggiore esplicazione nella categoria marxiana del lavoro. Gentile è in perfetta sintonia con Labriola, il quale sostiene che in Marx il pensiero stesso è un lavoro, allorché afferma che l’attività originaria, la radice e la sostanza del pensiero sono per il materialismo storico l’attività sensitiva, la quale, però, a sua volta è influenzata dal pensiero. L’effetto passa nella causa nella misura in cui la causa passa nell’effetto; la prassi si rovescia e l’oggetto diviene principio e il soggetto fine del processo dialettico. In questo modo il principio dell’operare diviene la materia che contiene in se stessa la legge del proprio sviluppo. Se si rovescia questa struttura logica materiale in un’analoga struttura logica ideale, siamo di fronte alla prima definizione dell’attualismo.
Nonostante il riconoscimento di questo aspetto fondamentale del materialismo storico, Gentile si rifiuta, però, di comprendere fino in fondo il carattere innovatore della filosofia di Marx, sia per la propria adesione al pensiero hegeliano – che può essere al
38 Cfr. G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 77. È opportuno ricordare che Marx occupa una posizione hegelianamente più ortodossa rispetto a Feuerbach proprio su questo problema. Rodolfo Mondolfo ha ritenuto eccessivamente “marxiana” l’interpretazione che Gentile ha dato di Feuerbach (cfr. R. Mondolfo, L’umanesimo di Marx, Torino, Einaudi, 1968, p. 13).
più riformato, ma non rovesciato, come faceva Marx –, sia per motivi sociali e politici39. Il rifiuto consiste nel sostenere che l’evoluzione dello spirito non è influenzata dallo sviluppo della storia e, di conseguenza, non ha senso teorizzare, come ha fatto Marx, la fine della storia o una sua rivoluzione. Si tratta dello stesso approccio che, da un lato, non gli permette di cogliere il rapporto tra la storia tedesca e la filosofia marxiana e, d’altro canto, lo spingerà a risolvere molte contraddizioni della realtà storica italiana nel suo stesso pensiero.
Gentile non accetta il sovvertimento della storia, teorizzato da Marx come molla per lo sviluppo della storia stessa, piuttosto lo intende come una negazione assoluta della storia40. Ho già mostrato, d’altro canto, come la dialettica del relativo fosse per Gentile un assunto. sostanzialmente illogico, del marxismo. In effetti la sua obiezione spinge a chiarire che nel marxismo sono presenti implicitamente due piani di svolgimento storico: uno è il piano di continua e costante umanizzazione dell’uomo e della natura41 – quello che Marx chiamò arretramento delle barriere naturali – e l’altro è quello delle forme peculiari che questo processo assume nelle singole realtà sociali. Gentile ribadisce che questa duplicità di piani porti ad una contraddizione di contenuto e forma, che è in effetti un’antinomia. Marx, invece, aveva ben chiaro che tra contenuto e forma del processo storico vi fosse soltanto un rapporto dialettico, nel quale le contraddizioni vengono risolte42. La soluzione delle contraddizioni storiche è in effetti un porre continuo del fondamento nell’atto stesso della sua negazione.
L’argomento dell’interpretazione gentiliana di Marx più fecondo per ulteriori
approfondimenti è paradossalmente quello che all’apparizione del libro poteva sembrare il più debole, cioè il riconoscimento del carattere implicitamente metafisico della filosofia di Marx, rintracciato non soltanto nella «semitica tendenza speculativa», ma soprattutto nel concetto di prassi. Ho già mostrato che Gentile si è soffermato con attenzione sul concetto marxiano di prassi come “attività originaria” dell’uomo e sulla conseguente sottolineatura della relazione soggetto-oggetto, che il concetto dialettico di prassi contiene. Il modo in cui Marx concepisce la relazione dialettica Soggetto-
39 Cfr. U. Spirito, Il comunismo, cit., p. 78.
40 Cfr. G. Gentile, op. cit., p. 163.
41 Gentile non accetta che Marx unisca la natura, che è fissità, alla storia, che è prassi umana (Cfr. M. Vanzulli, op. cit., p. 155).
42 Si ricordino le polemiche di Marx contro coloro che non rispettano tale rapporto come Proudhon, Mazzini, Bakunin o altri rivoluzionari del suo tempo.
Oggetto è sostanzialmente metafisico in quanto è una legge immanente, interna, della realtà.
Lukács, che molto probabilmente non conosceva La filosofia di Marx di Gentile, esprime la dialettica tra soggetto e oggetto che è contenuta nell’attività, riprendendo una riflessione di Fichte: «Si tratta quindi di portare alla luce il soggetto dell’“atto” (Tathandlung) e, prendendo le mosse dall’identità con il suo oggetto, comprendere tutte le forme che presentano la dualità soggetto-oggetto come da essa derivate, come suo prodotto. Tuttavia si rinnova qui, ad un livello filosoficamente, più alto, l’insolubilità della problematica nella filosofia classica tedesca. Nel momento in cui emerge la questione dell’essenza concreta di questo soggetto-oggetto identico, il pensiero è posto di fronte al seguente dilemma: da un lato, si può trovare concretamente e realmente questa struttura della coscienza, questo suo rapporto con l’oggetto, solo nell’operare etico, nel riferirsi a se stesso del soggetto individuale eticamente attivo, dall’altro, l’invalicabile dualità tra la forma che si genera da sé, ma che è rivolta puramente verso l’interno […] e la realtà estranea all’intelletto ed ai sensi, la datità, l’empiria, presenta alla coscienza etica dell’individuo attivo con un’acutezza anche maggiore che al soggetto contemplativo della conoscenza»43. Marx vede questo soggetto nell’uomo, che infatti è un soggetto etico: nella storia diventa il proletariato. Gentile invece rimane nel campo della logica e propone un soggetto pensante di fronte a un oggetto pensato. Gentile non scrive di etica e, quando, scrive di filosofia del diritto ritorna a fare i conti con Marx. Ma Gentile si interessa al marxismo perché in esso trova la soluzione del rapporto tra contemplazione soggettiva e conoscenza oggettiva nella prassi.
Ma Gentile sfugge completamente il significato di trasformazione della realtà materiale che il rapporto Soggetto-Oggetto implica in Marx. Gentile coglie correttamente la teoria del rispecchiamento in Marx, in quanto avverte che non si tratta della riproposizione del rispecchiamento come lo concepivano i vecchi materialisti, perché il rispecchiamento in Marx mette in gioco la soggettività di chi rispecchia nella propria mente la realtà oggettiva, come per altro Vico aveva intuito (le “modificazioni della mente” sopra citate), ma gli sfugge il carattere di produzione trasformatrice del rispecchiamento. Il soggetto per Marx nel rispecchiare la realtà la trasforma, prima idealmente nella propria mente, e poi materialmente con la propria prassi, con il proprio
43 G. Lukács, Storia e coscienza di classe, tr. it. G. Piana, Milano, Sugarco, 1978, p. 161.
lavoro, e senza questo rispecchiamento nella mente, momento ideale, non può progettare (pro-iectare “gettare innanzi” a sé) la trasformazione della realtà materiale. Gentile sostiene che per Marx l’attività si limita al campo della attività sensibile, mentre questa è soltanto un momento preliminare dell’attività materiale, che realizza un oggetto nuovo per un soggetto attivo; solo così la realtà diventa una produzione soggettiva materiale dell’uomo e la legge regolatrice della prassi, la teleologia, diventa una legge immanente nelle cose, perché è stata posta dal Soggetto nell’Oggetto, è diventata una legge positiva. Il Soggetto-Oggetto è diventato un unicum indivisibile, un in-dividuum.
Per Gentile questa relazione serve anche ad esprimere i rapporti tra individuo e società, e in tal modo è posto in rilievo il recupero da parte di Marx della tradizione aristotelica. Riguardo a quest’ultimo punto, Gentile intuisce solo parzialmente l’influsso di Aristotele su Marx e la non pubblicazione di alcuni testi marxiani nel periodo della stesura del libro giustifica solo in parte questa lacuna. Infatti pur rintracciando in Marx la nozione aristotelica dell’uomo come animale politico, Gentile non coglie, invece, l’intimo rapporto che Marx ha instaurato tra il proprio concetto di prassi e quelli aristotelici di πράξις (prassi produttiva) e soprattutto di ποίεσις (attività creatrice). Infatti la prassi nel pensiero di Marx non è soltanto ciò che intende Gentile, cioè primato del sensibile sull’ideale, ma anche passaggio dall’ideale nel sensibile, tramite le leggi stesse del sensibile, e soprattutto prassi creatrice del sensibile, tramite le leggi dell’ideale. È sufficiente ricordare ciò che Marx afferma a proposito del lavoro, nel famoso passo dell’ape e dell’architetto, per cogliere la profondità speculativa del discorso marxiano44.
Nonostante il fatto che Gentile non colga questo aspetto del pensiero di Marx, il suo giudizio sul carattere metafisico di questo pensiero è fondato sul fatto che una prassi nell’intenzione di Marx deve necessariamente tramutarsi in teoria generale della conoscenza. A questo proposito anche Lenin riconosce il rapporto tra Hegel e Marx45 e la ricostruzione gentiliana gli appare assolutamente corretta, come si è visto nella citazione sopra riportata. Nella sua analisi, Gentile anticipa la concezione leninista della conoscibilità assoluta della materia, quando afferma: «L’incomprensibilità è
44 Cfr. K. Marx, Il capitale, Libro I, tr. it. D. Cantimori, Torino, Einaudi, 1975, p. 216.
45 Cfr. Lenin, Quaderni filosofici, a cura di I. Ambrogio, Roma, Editori Riuniti, 1976, I ed., I ris., p. 167.
sempre relativa agli individui, ma non c’è assoluta inconoscibilità»46. Si avverte qui il tratto tipico della filosofia hegeliana. Ma Gentile indica a quali conclusioni conduca una teoria della conoscenza: «Chi guardi a questa teoria generale della conoscenza, deve pur trovarsi una teoria generale dell’essere, se egli è buon marxista e vuole sfuggire all’accusa di scolastico»47. Quindi una corretta concezione della gnoseologia deve, a sua volta, fondarsi sull’ontologia, dato che la categoria della prassi per se stessa presuppone sia il fare sia il conoscere, e fare e conoscere sono sempre riferiti ad un essere. Ed in effetti la teoria della conoscenza in Lenin è più di una gnoseologia, è anche un’ontologia oltre che un metodo per l’azione politica.
L’ultima produzione sistematica del marxismo, quella di György Lukács, si muove sulla strada indicata da Gentile, senza che tra i due filosofi ci sia mai stato un apparente rapporto diretto, confermando oltretutto la necessità avvertita dai filosofi marxisti di dare una risposta alle questioni che l’interpretazione gentiliana ha posto al pensiero di matrice marxista48. L’ultimo Lukács ha impostato la “rinascita” del marxismo nel recupero della sua autenticità e dei suoi caratteri originari, in particolare il rapporto tra le due forme di dialettica, hegeliana e marxiana, e la rilettura del pensiero di Marx in termini ontologici. L’ontologia marxista di Lukács assume il carattere “speciale” di un’ontologia dell’essere sociale, riprendendo un aspetto del pensiero di Marx che Gentile non aveva disconosciuto, cioè che l’essere sociale dell’uomo determina la sua coscienza. Sia Lukács sia Gentile riportano, però, il pensiero di Marx alla sua origine; così se la «radice dell’uomo è l’uomo stesso»49, il campo, in cui si
46 G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 132.
47 Ivi, p. 142.
48 Non appaia fuor di luogo o eccessivo il confronto tra due pensatori tanto lontani ideologicamente come Lukács e Gentile. Proprio su un loro rapporto, ovviamente indiretto, Augusto Del Noce ha avuto parole illuminanti: «Si potrebbe, infatti, trattando il suo [di Gentile] rapporto con Lukács, mostrare indirettamente anche la sua maggiore significatività rispetto alla filosofia di Heidegger. Continuamente su Lukács grava infatti l’ombra di Heidegger, come versione del suo pensiero in forma di filosofia speculativa; per sottrarsi deve tornare, come fa nell’introduzione alla nuova edizione della sua opera principale Storia e coscienza di classe, al materialismo dialettico engelsiano. Cioè, proprio a quella forma di pensiero nella cui critica, svolta nella Filosofia di Marx, è uno dei convergenti punti di partenza dell’attualismo» (A. Del Noce, “Gentile e Gramsci”, in Il pensiero di Giovanni Gentile, cit., p. 283). Del Noce scriveva queste righe nel 1975, quindi prima della pubblicazione in italiano dell’edizione completa dell’Ontologia dell’essere sociale di Lukács (1978-1981). Inoltre senza riportare alla sua contemporanea Ontologia, quanto Lukács sostiene nell’introduzione (1967) a Storia e coscienza di classe se ne smarrisce il senso generale (su questo punto rimando al mio saggio “Fenomenologia e ontologia nel marxismo di Lukács. Dall’Ontologia dell’essere sociale a Storia e coscienza di classe, in Giornale di Metafisica, n°. 2, settembre-dicembre 1986, a. VIII, pp. 357-370 e poi Id. Individuo, Lavoro, Storia. Il concetto di lavoro in Lukács, Milano, Mimesis, 2010).
49 K. Marx, Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in K. M., Scritti politici giovanili, a cura di L. Firpo, Torino, Einaudi, 1975, p. 404.
rivela il carattere innovatore del marxismo e della sua rilettura ontologica, è la definizione di una nuova teoria dell’individuo, che già Gentile aveva intravisto in Marx:
Il fondamento teoretico dell’ontologia di Lukács e della sua conseguente teoria dell’individuo è il lavoro, nel duplice significato di modello e attività originaria di ogni forma di prassi umana51. Si è già mostrato che Gentile coglie questo stesso elemento in Marx, cioè il carattere originario della prassi. La prassi è, allora, attività originaria in quanto creatrice e in quanto in essa verità e realtà si convertono e si rovesciano l’una nell’altra, finché la prassi stessa diviene la ragione della realtà e il medio tra individuo e società. Soggetto e oggetto trovano nella prassi l’elemento che li unifica direttamente e che in questa unità-rovesciamento si svolge, rispettando la legge dialettica della negazione della negazione. Alla prassi in Marx, come sottolinea Gentile, spetta il duplice compito di principio e di molla del movimento dialettico. L’analisi gentiliana della filosofia di Marx anticipa molti aspetti dell’ontologia di Lukács a conferma della capacità di Gentile di intendere l’autentico significato del marxismo, cioè la sua capacità di rapportarsi alla realtà storica in termini scientifici, perché metodologicamente sostenuto dalla dialettica ereditata da Hegel e, di conseguenza, contrapponendo al mero fatto storico un progetto razionale di trasformazione del mondo52.
Gentile, però, nel trattare la categoria-concetto della prassi in Marx, avverte che essa necessariamente rimanda ad una relazione ultrafenomenica e metafisica, e da qui ricava il carattere tendenzialmente metafisico della filosofia di Marx, su cui mi sono
50 G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 84.
51 Cfr. G. Lukács, Ontologia dell’essere sociale, a cura di A. Scarponi, Roma, Editori Riuniti, vol. II, 1981,
p. 1II, 1981, p. 14.
52 Non è da escludere il fatto che Lukács abbia conosciuto anche se indirettamente il libro di Gentile. La segnalazione di Lenin, da un lato, e un periodo di residenza trascorso a Firenze nel 1911, dall’altro, possono indurre a pensare che una conoscenza dell’interpretazione gentiliana di Marx da parte di Lukács sia possibile. Documenti probanti in materia, d’altro canto, non ve ne sono. Due filosofi della levatura di Gentile e Lukács, allorché riprendono da Marx alcune tematiche hegeliane, possono comunque trovare una certa univocità di giudizi.
Ma la metafisica che Gentile rintraccia in Marx è una metafisica particolare, non certamente adducibile alla metafisica meccanicistica pre-kantiana degli empiristi e dei positivisti – nonostante la precedente affermazione di Gentile –, piuttosto una metafisica che, in quanto fondata sulla categoria della prassi e sull’identità di pensiero ed essere, di Soggetto e Oggetto, ha un carattere fortemente logico dettato da una razionalità che oltrepassa il piano del reale54. Si tratta della stessa razionalità che guida il processo storico in Hegel e, quindi, Gentile non manca di rilevare che la genitura hegeliana determina il carattere metafisico del pensiero di Marx, pur segnandone i limiti. Infatti Gentile rintraccia una carenza della prassi marxiana nel fatto che non si spiega il proprio legame con la realtà, non è in grado di spiegare il proprio momento originario. La risposta all’obiezione di Gentile può venire da un’opera di Marx a lui sconosciuta al momento della stesura de La filosofia di Marx, i Manoscritti economico- filosofici del 1844, nel luogo in cui Marx afferma: «Per l’uomo socialista tutta la cosiddetta storia del mondo non è altro che la generazione dell’uomo mediante il lavoro umano»55. Ma a Gentile mancherà la capacità di trovare un punto in cui la realtà empirica è generata, cioè proprio il lavoro. Gentile pone l’atto puro di pensiero a origine dell’agire umano, mentre Fichte pone l’attività, cioè la capacità di agire, il marxismo scavalca la contrapposizione tra contemplazione e azione.
Dalle parole di Marx si deduce che è il lavoro l’attività mediatrice tra l’uomo e la natura, tra sé e se stesso, tra Soggetto e Oggetto. E se si considera il lavoro come principio, allora si può comprendere l’economia nella totalità e unità della vita sociale56. Il lavoro come la prassi, di cui è modello, è attività creatrice in cui il soggetto, ponendo l’oggetto nega sé e si estranea in esso (Selbstentfremdung). Ma il Soggetto è essere e quindi la categoria del lavoro presuppone l’esistenza di un essere, che per Lukács,
53 Antonio Labriola, “Discorrendo di socialismo e di filosofia”, in A. Labriola, Scritti filosofici e politici, a cura di F. Barbieri, Torino, Einaudi, 1973, vol. II, p. 519. Anche Gramsci, probabilmente influenzato da Labriola, non vede una metafisica nel pensiero di Marx: «La filosofia della prassi continua la filosofia dell’immanenza, ma la depura di ogni suo apparato metafisico e la conduce sul terreno concreto della storia» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1977, p. 1438).
54 «Nel Capitale si applica a una sola scienza la logica, la dialettica, la teoria della conoscenza – non occorrono tre parole: sono una stessa cosa – del materialismo, che ha attinto da Hegel quanto vi è in lui di prezioso e lo ha sviluppato ulteriormente», Lenin, Quaderni filosofici, cit., p. 341.
55 K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, tr. it. N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1978, III ed., p. 125.
56 Cfr. M. Vanzulli, op. cit., p. 30.
anch’egli interprete di Marx, è l’uomo e quindi l’essere sociale. Allora si potrebbe ribattere al Marx metafisico di Gentile il Marx ontologico di Lukács57. Ma il confronto perde la sua contrapposizione, se si tiene conto di quanto Aristotele afferma sul valore e sul significato dell’ontologia: «C’è una scienza che studia l’essere-in-quanto-essere e le proprietà che gli sono inerenti per la sua stessa natura. Questa scienza non si identifica con nessuna delle cosiddette scienze particolari, giacché nessuna delle altre ha come suo universale oggetto di indagine l’essere-in-quanto-essere»58.
L’analisi gentiliana apre, quindi, un problema interpretativo di Marx, specialmente se la si pone in relazione con quella lukácsiana. Ma essa pone anche domande fondamentali sul significato della metafisica, della gnoseologia e dell’ontologia, a cui uno studioso del marxismo non può che prestare attenzione. Naturalmente il giudizio di Gentile su Marx e il marxismo è un’altra questione, che qui non va affrontata se non per sommi capi. Sostanzialmente il negativo giudizio gentiliano è dettato dal suo eccesso di idealismo hegeliano, così come, al contrario Lukács esprime un giudizio ambiguo e contraddittorio su Hegel per il motivo opposto. L’eccesso di idealismo di Gentile lo spinge a concludere «se alcune tra le più importanti idee dell’hegelismo possono penetrare nelle menti per l’allettativa del nome di Marx, buona fortuna anche al “marxismo”!»59. Quindi il marxismo è considerato un alleato nella diffusione dell’hegelismo. Ma in una lettera a Croce, forse per non indispettire il più prestigioso amico, Gentile rovescia il suo giudizio e afferma che dal marxismo non c’è nulla da cavarne fuori60. Nonostante però questa indifferenza, Gentile riconosce un influsso di Marx sulla propria concezione della storia, unito al riconoscimento dell’assoluto valore di Marx nella storia della filosofia del XIX secolo: «Il dubbio che vi sorge intorno al mio concetto storico della filosofia – che non è mio, ma del secolo nostro – mi pare che si possa risolvere riflettendo sul concetto dello spirito umano, quale si trova per la prima volta in Vico, e s’è poi maturato pienamente in Hegel, e si trova ben chiaro presso lo stesso Marx»61. D’altronde Gentile manifestò sempre lo
57 Augusto Del Noce sostiene, invece, che le risposte alle questioni, poste da Gentile al marxismo, sono state date da Gramsci (cfr. A. Del Noce, “Gentile e Gramsci”, cit., pp. 284 e segg.).
58 Aristotele, Metafisica, Libro D, tr. it. A. Russo, Bari, Laterza, 1971, p. 85.
59 G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 165.
60 Cfr. lettera del 24/11/1898, in G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, cit., p. 138-143. Si noti che la lettera è del 1898, mentre la La filosofia di Marx è del 1899, quindi si può ipotizzare un cambiamento di interpretazione tra le due date.
61 Lettera del 30/6/1899 in G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, cit., p. 189.
sforzo di «presentare la propria filosofia come la verità delle più diverse filosofie altrui»62.
Gentile, in definitiva, non accetta una sorta di concorrenza politica o ideologica del marxismo, piuttosto riconosce i problemi che Marx e i marxisti hanno indicato, hanno risolto o tentato di risolvere. La sua filosofia, nella sua prima definizione, si esprime come un tentativo di dissolvere i fondamenti teoretici del marxismo. Contemporaneamente, però, Gentile in Rosmini e Gioberti descrive, a sua volta, i problemi dell’Italia d’inizio secolo, connessi al processo di unificazione nazionale non completamente concluso, e la loro possibile soluzione. Comunque Gentile preferirà lo spiritualismo di Gioberti al materialismo di Marx63. Non considera, in fondo, le questioni economiche nella formazione dell’Italia unita, fonda quell’importante avvenimento storico soltanto nel tessuto spirituale della nazione, cadendo nell’errore di dare vita ad entità che soltanto con lo sviluppo economico si sono effettivamente formate e sviluppate: la stessa nazione. Il marxismo rimane per lui un canone di interpretazione della storia, forse influenzato dall’interpretazione crociana. Alla prassi come attività originaria, Gentile contrapporrà l’atto puro di pensiero, cioè anteporrà il pensiero all’essere, non considererà il pensiero come l’attività anticipatrice dell’atto pratico, ma come l’atto stesso, o meglio la forma più pura di atto, senza bisogni precedenti che determinano i fini dell’atto. Rifiutando l’attività, Gentile accetta solo il presente e non la possibilità di costruire il futuro a partire dal compiuto, dal passato, perché l’atto è il giudizio sul compiuto, sul passato, sulla tradizione.
Un marxista come Lukács sembra porre una questione a Gentile, nonostante che i due non conoscessero reciprocamente le opere dell’altro: l’atto, o se si vuole l’attività, è il principio della realtà nella quale viviamo. Lukács afferma: «Ciò che nella realtà è prodotto da noi stessi, perde qui la sua essenza più o meno fittizia; noi abbiamo fatto la nostra stessa storia, e se siamo in grado di considerare l’intera realtà come storia (quindi come la nostra storia, dal momento che non ce n’è un’altra), abbiamo allora raggiunto un posto di vista dal quale possiamo comprendere la realtà come nostro “atto” (Tathandlung) […] Si ripresenta ancora, e questa volta in modo del tutto concreto, la questione decisiva di questo pensiero: la questione del soggetto dell’atto, della genesi. Poiché l’unità di soggetto ed oggetto, di essere e pensiero, che 1’“atto”
62 Marino Gentile, “Dopo Gentile”, in Il pensiero di Giovanni Gentile, cit., p. 423.
63 Cfr. M. Cassa, op. cit., p. 211.
(Tathandlung) ha tentato di dimostrare e di indicare, ha effettivamente il suo luogo di realizzazione ed il suo sostrato nell’unità tra la genesi delle determinazioni del pensiero e la storia del divenire della realtà. Quest’unità può tuttavia valere come unità compresa soltanto se, oltre ad essere rinviati alla storia come luogo metodologico della risolvibilità di tutti questi problemi, si può anche indicare concretamente il “noi”, il soggetto della storia, quel “noi” la cui azione è la storia stessa»64. Lukács rileva il problema della costruzione di un soggetto collettivo, il nuovo soggetto che con la sua attività, con il suo atto, crea la realtà collettiva. Qui c’è il dibattito tra Croce e Gentile se il marxismo è una filosofia della storia, perché soltanto il marxismo ha il punto di vista della totalità del sistema capitalistico, in quanto filosofia delle vittime del sistema, vittime che sono espulse dal sistema dominante. Conseguentemente, per Gentile, coloro che si oppongono all’unificazione nazionale, alla realizzazione del “noi”, perché ne sono le vittime, per Gentile sono spiritualmente estranei alla nazione, devono essere spiritualmente integrati in essa o possono esserne espulsi. La loro integrazione deve passare per la loro formazione spirituale: la riforma pedagogica diventa così una forma di atto politico del pensiero.
La lettura gentiliana di Marx rimane spezzata tra giudizio e analisi, ma rileva la capacità di riportare Marx a Hegel riconoscendovi una volontà e un’attenzione a confrontarsi con Hegel65, ma di trattarlo da posizioni idealiste senza un minimo di confronto con la storia diversa dei due filosofi. La sua analisi raggiunge una tale profondità teoretica da permettere di affermare che è ancora attuale, e quanto detto su Lukács ne è una prova, per una lettura speculativa del marxismo.
«Il lavoro fatto non ha valore in quanto lavoro […] ma in quanto atto, in quanto mio atto. E – come Fichte ha visto molto bene – io=atto, solo attraverso il mio atto io divengo ‘io’. Questo oggi significa per me il lavoro. Il suo valore: conoscere me stesso, pervenire a me; io sono quello che mi è dato fare, non posso saperlo, posso solo cercarlo, ma io: sono appunto il cercare»
64 G. Lukács, Storia e coscienza di classe, cit., p. 191-192.
65 Cfr. G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 101.